Diario
1 febbraio 2016
Un'altra appassionante ricerca di Francesco Pinto
In libreria e in Biblioteca il nuovo libro di Francesco Pinto:
Barletta, le pietre nobili.Stemmario araldico e sintesi storiche.
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:52 | |
1 febbraio 2016
Copertina del libro
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:46 | |
1 febbraio 2016
Introduzione libro " Barletta le pietre nobili
La nostra città di Barletta, da tempi antichi sede riconosciuta di nobiltà civica, è scrigno di incommensurabili
bellezze e di tesori sconosciuti o poco approfonditi, con una storia artistica
e architettonica ancora tutta da scoprire.
“Barletta, le pietre nobili.
Stemmario araldico e sintesi storiche” è l’ennesima appassionante ricerca
di Francesco Pinto protesa alla
conoscenza e alla valorizzazione della nostra identità e del nostro territorio
e, attraverso gli stemmi nobiliari,
esaltarne l’aspetto storico; infatti questi simboli araldici che ancora oggi
ammiriamo sui palazzi, nelle nostre chiese e nel nostro magnifico castello,
evocano e talora illuminano frammenti della nostra storia millenaria.
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:43 | |
1 febbraio 2016
Stemmi vari inseriti nel volume
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:42 | |
1 febbraio 2016
Prefazione dell'autore
Attraverso questi stemmi, un tempo sistema-linguaggio di comunicazione
visiva ed espressione delle valenze storiche, giuridiche e feudali, si sono
rappresentati nel corso dei secoli l’identità, l’onore, la continuità e gli
sviluppi genealogici di singole famiglie (non sempre necessariamente nobili),
con i loro concreti diritti di possesso, di giurisdizione, di patronato e di “indirizzi
politici”.
Per conoscere, riconoscere e valorizzare questo patrimonio di ingente
valore storico, documentale ma anche venale, mancava sino ad oggi una rassegna
così cospicua che racchiudesse un vastissimo ed esauriente campionario di armi
gentilizie, segno distintivo delle numerose famiglie nobili che hanno dato
lustro alla città di Barletta.
I numerosi stemmi araldici presenti nella città di Barletta e in
questo volume rigorosamente fotografati,
raccolti e rappresentati, visti nell’importante ruolo di testimoni, di
documenti primari, forniscono una “chiave
di lettura originale” nel variegato panorama culturale del nostro
territorio e contribuiscono, con la loro micro–storia,
a fornire un contributo organico e complessivo della nostra storia locale.
Il volume è formato da circa 400 pagine a colori, con più di 200 foto
di stemmi gentilizi presenti nella nostra città; ben 106 schede, riferite allo
stemma in oggetto, sintetizzano in un’unica pagina gli episodi e i personaggi
principali delle famiglie nobili che hanno fatto la storia del nostro
territorio.
Il libro è a
tiratura limitata e si può richiedere anche in Biblioteca Comunale.
L’autore: Francesco
Pinto
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:38 | |
1 febbraio 2016
Saluto del Sindaco della Città di Barletta
Ci sono
messaggi che si leggono sulle pietre. Pietre che raccontano la storia e anche
per questo possono dirsi “nobili”, come le chiama Francesco Pinto nella
raccolta, e nel “racconto”, dei simboli araldici che possiamo ancora ammirare
sulle mura dei palazzi, sui pavimenti delle chiese, nel lapidario del Castello.
E persino scoprire fortuitamente.
Contestualmente
alle pagine dello “Stemmario” di Pinto ho ricevuto la bozza del volume
“Archeologia, storia, arte. Materiali per la storia di Barletta”, con gli atti
di un convegno svoltosi a Barletta nel febbraio 2015 a cura dell’Associazione
del Centro Studi Normanno-Svevo: comprende un suggestivo saggio della prof.ssa
Luisa Derosa in cui si dà conto anche del rinvenimento nel 1974, mentre si
costruiva un complesso condominiale laddove un tempo erano le antiche mura
lungo la direttrice per Trani, di un gruppo di 14 lastre sepolcrali e di altre
reliquie di una “magnifica e ricca” casa. Purtroppo, al di là delle
testimonianze materiali immediatamente raccolte e consegnate al museo civico,
tutto il resto fu lasciato perdere.
Vogliamo
credere che il lavoro di Francesco Pinto possa idealmente riscattare offese
come queste della età moderna alla storia della “città-corona” che nel 1190 si
cinse del privilegio di Tancredi di Sicilia. Per crescere ancora in epoca
normanna e angioina, fino alle alterne vicende aragonesi, spagnole e francesi.
I simboli
meticolosamente raccolti da Pinto costituiscono, dunque, una documentazione
originale, se non proprio inedita, della complessa storia di una città
profondamente mediterranea. E’stata storia di nobili e di plebe, di armi e di
mercati, di arti e di mestieri. Resta la storia dell’ascesa della civitas
Barulum che, dal tempo delle crociate a quello della Disfida, ha indotto la
comunità cittadina a cercare l’emancipazione e l’autonomia a fronte delle più
avanzate esperienze territoriali. Poi certo c’è stata l’involuzione fin quasi
alla decadenza del ruolo della città. Ancora il suo riscatto, fino alla crisi
che faticosamente si sta cercando di rimontare.
Serve, allora, conoscere questa storia, anche
attraverso la narrazione dei simboli della vita passata. Questa memoria offre la possibilità di
riscoprire non solo i titoli di famiglie nobili (o che questo titolo hanno
acquisito dando lustro alla città), ma soprattutto l’identità che la città si è
data nel tempo. Quella che resta impressa sulla “pietra nobile”. Ma ancor più
deve riuscire a vivere nella realtà civile dei nostri giorni.
Pasquale Cascella
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:36 | |
1 febbraio 2016
Alcuni stemmi del volume
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:34 | |
1 febbraio 2016
Presentazione di Victor Rivera Magos
Se
dovessimo impegnarci a comprendere meglio le dinamiche che consentirono alla
città di Barletta, a partire dal secolo XII, di affermarsi come centro di
rilevanza internazionale sui principali scenari del Mediterraneo, molti
sarebbero i temi da indagare, a partire dalla centralità assunta gradatamente
dal porto tra gli scali granari adriatici. Una storia lunga, evidentemente, che
parte dalla fondazione normanna della città politica e istituzionale, avvenuta de
facto in concomitanza con la fondazione del regno di Ruggero II
d’Altavilla, e passa attraverso le pagine celebri della pittura
preimpressionista di De Nittis o quelle letterarie della Disfida e del suo
romanzo scritto da Massimo d’Azeglio per
costruire sentimenti di unità nazionale in piena epoca risorgimentale.
Un
racconto dunque, quello della storia di Barletta, che ci consentirebbe di
osservare la dinamicità dei ceti dirigenti del territorio, impegnati nella
costruzione del proprio spazio di potere politico e nel rafforzamento delle
proprie prerogative economiche. Una storia di ricerca del potere che incrocia
quella delle istituzioni politiche e religiose del Regno e si tramuta presto in
pluralità di identità culturali e sociali.
Terra
di vescovi ospiti, quello di Canne e quello di Nazareth, senza una diocesi da
reggere e indirizzare, Barletta fu terra di grandi passioni e altrettanti
conflitti. Primo fra tutti, quello tra gli arcivescovi tranesi e il clero
barlettano che, all’inizio del secolo XII, inizia la costruzione della chiesa
madre di Santa Maria e con essa costituisce il proprio capitolo. Nel fermento
che anima il Mediterraneo, accoglie, questa città che è una Terra, secondo
quanto emerge dai documenti della corona, anche le comunità religiose che
provengono dalla Terrasanta.
L’epopea
crociata conduce a Barletta Templari, Giovanniti, Teutonici, canonici del Santo
Sepolcro e di Nazareth: tutte comunità che avrebbero reso celebre la città nel
Mediterraneo, facendone entrare il nome nelle Canzoni delle gesta dei Franchi.
Barletta
è città cosmopolita, o almeno lo è stata per lungo tempo.
Le sue famiglie, qui stanziatesi secolo
dopo secolo, tessevano le trame dei propri interessi, operando per accrescere
le proprie ricchezze e, con esse, il potere e l’influenza detenuta.
Di
tutte queste cose, in una rassegna utilissima a chi approccia il complesso
mondo della storia cittadina, tratta il volume di Francesco Pinto, intitolato Le
pietre nobili.
Va
chiarito: non si tratta di una “storia
della città”, ma di un percorso guidato attraverso gli stemmi araldici
conservati in città, collocati ancora sulle facciate dei palazzi storici,
incastrati tra porte e finestre, raccolti nel lapidario del castello o nei
cortili e nei chiostri dei conventi e delle chiese. Ad ogni stemma,
appositamente fotografato, corrisponde una breve descrizione della famiglia a
cui apparteneva, con qualche nota storica. Una breve descrizione, va ribadito;
non un trattato prosopografico, ma una piccola introduzione a supporto delle
immagini, misurata sugli scritti degli eruditi e degli storici che ne
parlarono, per costruire intorno a quegli stemmi un racconto di storia araldica
e di storia della città che possa essere utile a quanti si approcciano a un
tema complesso e affascinante come quello, appunto, dell’araldica.
Sono
nobili, queste pietre, non perché tutte appartenenti a famiglie che potessero
vantare quarti di nobiltà. Il lettore che si approcci al volume si accorgerebbe
subito che nella rassegna fotografica e testuale che Pinto propone quelle
pietre appartengono certamente a palazzi che il tempo ha nobilitato,
restituendoceli nella loro bellezza e in qualche caso imponenza. Tuttavia, il
lettore attento saprebbe anche distinguere, attraverso i profili brevi che
Pinto affianca a ciascuno stemma familiare, anche quelli della appartenenza
cetuale, spesso nobiliare, molto più spesso commerciale, finanziaria,
“borghese”, che non sempre è possibile definire “nobile”.
Un
utile strumento per districarsi nella storia lunga della città, dunque,
certamente non definitivo né immune da futuri emendamenti o correzioni che,
anzi, chi scrive auspica arrivino presto, perché un libro come questo
rappresenta una traccia, una rassegna, un tentativo di mettere ordine,
catalogare il patrimonio esistente, provare a individuare ceppi familiari,
associati a ciascuno stemma araldico, senza la convinzione di aver detto
l’ultima parola. Dove Pinto non riesce, infatti, si ferma, offrendo una sorta
di appendice di pietre “ignote”, ancora da identificare, con l’umiltà che è
propria alla sua personalità, ma soprattutto come dovrebbe fare chiunque si
approcci alla ricerca storica con onestà e intelligenza, evitando di proporre
assiomi definitivi.
La
storia, infatti, è materia intangibile e per questo, a chi vi si approcci,
spesso pericolosamente modellabile. Nell’apparente tangibilità di un monumento,
di un’opera d’arte, di un documento archeologico e pergamenaceo, infatti, si
cela il grande inganno della storia, che è nella sua inconsistenza materiale,
nonostante l’apparente percettibilità al tatto offerta dai suoi testimoni provi
a convincerci del contrario. Per questo, essa è sempre mobile e la sua analisi
si offre come materia viva a chi ne indaga aspetti particolari. Materia mai
definitiva, sempre discutibile e rinnovabile. Per questo, dunque, il volume di
Pinto può considerarsi come un ulteriore tassello da inserire nel complesso
mosaico della ricca vicenda di coloro che nel tempo hanno provato a ordinare
quella materia, che in questo caso è la storia lunga della città di Barletta.
Come
tale va apprezzato, tra gli strumenti al servizio di coloro che ancora si
metteranno sulle tracce di quella storia, provando a chiarire, discutere,
riordinare ancora.
Victor Rivera Magos
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:33 | |
1 febbraio 2016
Alcuni stemmi del libro di Francesco Pinto "Le pietre nobili"
| inviato da araldicailritorno il 1/2/2016 alle 9:26 | |
17 marzo 2015
Giovanni Pipino: un barlettano alla corte di tre RE
E’ questo il titolo
di una nuova ed importante ricerca di Francesco
Pinto, abile nel tessere le imprese e le lodi di un cittadino barlettano
che, agli albori del 1300, raggiunse le più alte cariche nella corte Angioina.
L’autore, non nuovo
in queste interessanti ricerche, dopo l’ottima pubblicazione del libro Barletta, l’incoronazione di Ferdinando I
d’Aragona, si immerge nella selezione di importanti ed antiche pergamene
risalenti alla fine del XIII e
all’inizio XIV secolo narrando cronologicamente le imprese di questo
interessante personaggio figlio della nostra amata città.
La ricerca è
imperniata esclusivamente su Giovanni Pipino, capostipite dell’omonima casata, escludendo
a priori i successori omonimi che tanto scompiglio ed efferatezze portarono in
seguito sul nostro territorio.
Il libro non è stato
pubblicato causa la crisi dell’editoria locale e della sordità dell’Amministrazione Comunale ma l’autore ha ritenuto
opportuno stampare alcune copie e donarle alla nostra Biblioteca Comunale per
favorire la divulgazione di questo importante lavoro.
Basterà quindi
richiedere copia della ricerca in Biblioteca (collocazione: AP C – 462)per leggere le imprese di
questo epico personaggio che seppe conquistare la Lucera saracenorum nell’agosto del 1300.
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:23 | |
17 marzo 2015
Giovanni Pipino: un barlettano alla corte di tre Re
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:10 | |
17 marzo 2015
Valore dell'opera
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:8 | |
17 marzo 2015
Introduzione libro: Giovanni Pipino, un barlettano alla corte di tre Re
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:7 | |
17 marzo 2015
Cappella Pipino: S. Pietro a Maiella, Napoli
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:5 | |
17 marzo 2015
Sepolcro Pipino
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:3 | |
17 marzo 2015
Stemma Pipino
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 16:0 | |
17 marzo 2015
Giovanni Pipino: un epico personaggio
Quali
considerazioni potrebbero essere fatte su questo emblematico personaggio,
soprattutto in relazione all’horrenda
strage di Lucera?
Bisognerebbe
innanzitutto rapportare l’azione di Giovanni
Pipino ai tempi in cui visse: considerarlo un uomo di Stato che seppe
raggiungere senza mezzi termini i fini proposti dalla politica del Re. Se
l’azione nei confronti di Lucera sia stata giusta o crudele, può dirlo solo una
eventuale valutazione politica del suo operato.
Lo
stesso Machiavelli, infatti, definito come il fondatore della moderna scienza
politica, rivendica vigorosamente l’autonomia nel campo dell’azione politica e
afferma che l’agire degli uomini di Stato va studiato e valutato solo in base
alle leggi in vigore per garantirne poi il perfetto funzionamento. Per quanto
concerne la religione, a Machiavelli essa non interessa nella sua prospettiva
concettuale, come contenuto di verità, né tanto meno nella sua dimensione
spirituale, come garanzia di salvezza, ma solo ed esclusivamente come instrumentum regni, ossia come strumento
di governo.
A
Pipino vanno riconosciute certamente l’ambizione, la tenacia, la lungimiranza
nel compiere scelte a prima vista azzardate, ma soprattutto il senso dello
Stato, che può tradursi in amore per la propria terra e per il proprio Re o al
contrario in sete di gloria da raggiungere anche con spietata disumanità.
In
ogni frangente Giovanni Pipino
dimostrò sempre un’assoluta fedeltà al Re e questa virtù eccezionale del
singolo, del politico-eroe, del promotore di chiese e cattedrali, gli
garantisce una fama più ampia, fama di grande ed epico personaggio della nostra
terra.
| inviato da araldicailritorno il 17/3/2015 alle 15:57 | |
28 marzo 2011
Marzo 2011- Pubblicata dal Comune di Barletta una nuova entusiasmante ricerca storica di Francesco Pinto: L’incoronazione di Ferdinando I d’Aragona, avvenuta in Barletta il 4 febbraio 1459.
Barletta è tra le poche città del Mezzogiorno
che può vantare un patrimonio memoriale importante, frutto di una storia
avvincente e straordinaria, denso di personaggi eccezionali e di avvenimenti
importanti.
L’abbinamento storico della Città di Barletta
con la famosa Disfida resta senz’altro l’episodio più importante e
reclamizzato, ma un altro avvenimento di grande rilevanza storica è stato
spesso poco valorizzato, a torto, rischiando di cadere nel dimenticatoio:
l’incoronazione a Barletta di Ferdinando I d’Aragona.
Questo volume, frutto di una lunga ricerca,
oltre che mettere in risalto un episodio praticamente unico e irripetibile per
la Città di Barletta, si propone di analizzare in maniera chiara gli episodi
chiave che determinarono il grande evento tentando una ricostruzione ricca di
significativi particolari legati alle giornate festose dell’incoronazione con le
testimonianze coeve degli ambasciatori presenti all’incoronazione che ci
consentono di acquisire altri interessanti particolari finora poco conosciuti.
| inviato da araldicailritorno il 28/3/2011 alle 11:33 | |
28 marzo 2011
Copertina del libro
| inviato da araldicailritorno il 28/3/2011 alle 11:32 | |
28 marzo 2011
Presentazione del libro acura del Prof. Generale Gaetano Nanula, Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana.
L’incoronazione di Ferdinando I d’Aragona,
avvenuta in Barletta il 4 febbraio 1459, è un episodio talmente importante da
meritare indubbiamente molta più attenzione di quanto non gli sia stata finora
attribuita, in quanto attesta tutto il lustro e la grande importanza rivestita da
questa città, in quel tempo giustamente considerata “Caput Regionis”. Il protagonista riconosciuto nello scenario
politico-militare fu, in quell’epoca, senza ombra di dubbio, Ferdinando I
d’Aragona, chiamato Ferrante dai napoletani e Don Ferrando dai catalani.
Fin dalla sua giovane età non ebbe vita facile:
per seguire le orme del padre in Italia fu costretto a lasciare l’ambiente
catalano, ove si stava formando e ad affrontare una nuova realtà, adattandosi
ai nuovi usi e costumi e imparando un altro idioma che, per la verità, non
riuscì mai a padroneggiare alla perfezione. Da alcune sue lettere personali
risulta infatti sempre evidente uno stile incerto, ove si fondono con
ricorrenza il napoletano e il catalano.
Problematica e alquanto difficile risulterà per
Ferrante, chiamato con disprezzo “il bastardo”, anche la sua successione al
trono del Regno di Napoli.
Suo padre, Alfonso il Magnanimo, con fatica era
riuscito a ratificare la successione del figlio nel Parlamento di San Lorenzo
del 1443. Tale Parlamento fu ritenuto
invero di dubbia legalità, poiché alla sua composizione non parteciparono, come
consuetudine, gli alti prelati e i rappresentanti delle città demaniali,
rimanendo ristretto alla sola nobiltà.
Ne derivò quindi la convinzione che
l’aristocrazia potesse influire in modo determinante nel creare o detronizzare
qualsiasi re (le due terribili congiure dei baroni del regno furono una
inevitabile conseguenza).
Ferrante comunque, al di là delle atroci
repressioni attuate contro i suoi diretti nemici, governò a lungo e si dimostrò
uomo abilissimo negli affari diplomatici e politici e lungimirante nel
promulgare leggi che abolivano i soprusi dei baroni e rafforzavano lo Stato.
Verso la Città di Barletta il sovrano aragonese
ebbe sempre un rapporto particolare, accordando privilegi di vario genere e
conquistandosi grande fama di sovrano illuminato, avallata da molti studiosi,
locali e non, che hanno capovolto quell’alone di negatività talora perpetrato
in danno della sua immagine.
La sua immagine meritava dunque un’attenta
ricostruzione, nel contesto di un periodo storico particolarmente complesso,
che vede la Città di Barletta in tutta la sua prestigiosa e orgogliosa realtà
storica.
All’autore Francesco Pinto, che con tanta
passione e prolungata meditazione ha realizzato questa preziosa ricerca, va
quindi tributato un plauso particolare, con l’ammirata considerazione dei suoi
concittadini.
| inviato da araldicailritorno il 28/3/2011 alle 11:29 | |
28 marzo 2011
Incoronazione di Ferdinando I d'Aragona: ricostruzione ipotetica di Francesco Pinto
| inviato da araldicailritorno il 28/3/2011 alle 11:26 | |
27 novembre 2010
Ricerca storica:
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:51 | |
27 novembre 2010
Introduzione
Questa ricerca sui Vescovi e Arcivescovi Barlettani,
condotta da Francesco Pinto e Antonio Vitrani, chiude un’autentica trilogia
araldica che ha visionato gli stemmi delle famiglie nobili e gli stemmi reali
presenti nella Città di Barletta.
Il blog di Francesco Pinto con le sue interessanti
rubriche offre una carrellata di importanti personaggi rappresentati con i loro
stemmi (reali, nobiliari o prelatizi) e, ancora una volta, una chiara
testimonianza storica e culturale della Città di Barletta.
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:50 | |
27 novembre 2010
cartina geografica: Domenico Vendola: Rationes Decimarum Italiae (Fasc. 84, foglio 1) Organizzazione delle diocesi nei secoli XIII e XIV:
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:49 | |
27 novembre 2010
Premessa: La cristianizzazione in Puglia
È opinione consolidata, nella ricostruzione delle
origini cristiane pugliesi, di attribuire a S. Pietro l’opera di
evangelizzazione e l’istituzione dell’episcopato di diverse diocesi della
nostra regione. Ovviamente si tratta di una notizia priva di ogni fondamento
storico alimentato da una consuetudine di stampo campanilistico finalizzato a
nobilitare le origini cristiane di paesi e città con l’abbinamento mirato a
santi, apostoli e martiri della cristianità antica. La maggior parte di questi
episodi puramente fantastici, mescolandosi con elementi storici attendibili,
sono però entrati nella coscienza popolare finendo col caratterizzare
l’identità storico-religiosa di determinate aree geografiche regionali o
urbane.
Il processo di cristianizzazione della Puglia, grazie
ad una rete viaria collaudata (via Appia e Traiana) e ad un articolato sistema
portuale regionale, si propagò rapidamente: naviganti e commercianti,
missionari e pellegrini costituirono un fenomenale scambio di idee, concezioni
ed esperienze con il vicino Oriente e fu soprattutto la fascia costiera
adriatica (Sipontum-Salapia-Bardulos-Turenum-Barium) che si distinse ben
presto, con una grande capacità di evoluzione, nell’interpretare magnificamente
quel ruolo di “ponte” tra le due diverse culture.
La Chiesa, dopo l’editto di tolleranza emesso da
Galerio nell’anno 311 e da Costantino nel 313, cominciò ad organizzare
sistematicamente la propria dottrina e iniziò a creare una fitta rete di
diocesi con cui Roma dialogava e a cui faceva pervenire le proprie direttive.
Inizialmente i confini delle diocesi erano approssimativi a quelli della città,
ma subivano continui mutamenti a causa della progressiva conversione al
Cristianesimo dei territori circostanti. L’episcopato
rappresentò subito fonte di potere e di prestigio; i vescovi infatti, oltre
alla riconosciuta autorità ecclesiastica, godevano di particolari privilegi,
per esempio l’esenzione dai munera
curialia e spesso, nel
territorio di pertinenza, svolgevano incarichi importanti attinenti la pubblica
amministrazione che tradizionalmente erano demandati alla magistratura civile.
In definitiva, con la presenza del vescovo, un
insediamento urbano anche di piccola entità assumeva un ruolo di città
preminente con l’aggregazione di nuovi territori per la pratica cultuale e per
la prassi liturgico-sacrale.1
L’ecclesia Barlettana, durante la sua storia, ha avuto
un’evoluzione complicata cercando inutilmente di crearsi una propria autonomia,
prima liberandosi da una ormai declassata diocesi Canosina e poi finendo spesso
in contrasto, con dispute lunghe ed ostinate, con l’antico e consolidato
episcopato Tranese. Infatti fu necessario l’intervento della Curia Pontificia
per sanzionare la definitiva sottomissione del clero barlettano al vescovo di
Trani con le bolle di Alessandro II nel 1063, Urbano II nel 1090, Callisto II
nel 1120 e Adriano IV nel 1158 e 1159. La distruzione di Bari per mano di
Guglielmo il Malo avvenuta nel 1156 e l’inizio del movimento crociato collocò
la Città di Barletta al centro di un intenso traffico da e per la Terra Santa comportando
uno sviluppo socio economico che determinò una progressiva espansione urbana
rendendo Barulum la principale città dell’Apulia settentrionale.
Al vigoroso risveglio religioso provocato dalle
crociate conseguì la decisione dei principali Ordini cavallereschi di scegliere
Barletta come loro sede regionale; vi si stanziarono infatti i Cavalieri del
Santo Sepolcro, i Gerosolimitani, i Templari, i Teutonici. Con l’inesorabile declino delle Crociate, a
testimonianza dell’alto tasso di religiosità del territorio, si insediarono
numerosi Ordini monastici (Benedettini, Francescani, Domenicani e Agostiniani)
e si costruirono numerosissime chiese.
Intorno a questi luoghi di culto, oltre alle attività
ecclesiastiche, gravitavano un insieme di iniziative assistenziali e
ospedaliere, venivano gestite scuole private dove si impartivano lezioni per
avviare alle arti e mestieri e si svolgevano attività educative che
contribuirono a sviluppare in maniera marcata la coscienza religiosa della
popolazione. Ciò nonostante, con la riforma del Concilio di Trento (1545-1563),
i Capitoli delle chiese più importanti della città non riuscirono a realizzare
le spinte autonomistiche di più antica aspirazione per rendersi indipendenti
dall’episcopato tranese poiché il clima riformistico post-tridentino sanzionò
in maniera negativa l’aumento del numero delle sedi episcopali. La città di
Barletta quindi, pur rimanendo religiosamente sempre assoggettata
all’Arcidiocesi di Trani, ebbe però il grande privilegio di
essere sede dell’Arcivescovado di Nazareth fino al
1818.
È noto che l’Arcivescovado di Nazareth in Palestina,
esistente dal tempo delle Crociate, per sfuggire alla persecuzione dei Turchi
fu costretto ad abbandonare la propria sede rifugiandosi dapprima a Tolemaide e
poi in Puglia, a Barletta, per continuare la serie degli arcivescovi nazareni.
Nel 1455 Papa Callisto III ingrandì la sede barlettana
della diocesi nazarena con l’annessione della Chiesa vescovile di Canne e dei
territori ad essa pertinenti; nel 1531 Papa Clemente VII vi annesse la Chiesa
di Monteverde2 e Carbonara.
L’Arcidiocesi di Nazareth fu soppressa il 27 giugno 1818 dal Sommo
Pontefice Pio VII, con Bolla Ulteriori, nel contesto storico dell’indirizzo
laicista della Rivoluzione francese; Monteverde fu unita alla Diocesi di S.
Angelo dei Lombardi (AV) mentre il Titolo Nazareno insieme a quello di Canne fu
dato all’Arcidiocesi di Trani, non essendo Barletta, nel 1818, Diocesi.
Il 21 aprile del 1860, con la Bolla Motu Proprio
Cunctis ubique pateat, Papa Pio IX elevò la città ad Arcidiocesi per perpetuare
in Barletta l’Arcidiocesi Nazarena.
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:47 | |
27 novembre 2010
Trono vescovile
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:46 | |
27 novembre 2010
Presentazione
L’insigne economista Giuseppe Maria Galanti, nella sua
relazione sulla Puglia fatta al Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, in data
12 maggio 1791, riferendosi a Barletta, definisce “fenomeno unico forse in
tutto il mondo” la presenza di oltre 150 canonici, su una popolazione che
allora contava poco meno di 16.000 abitanti. Già questo dato, ci dice
eloquentemente come fosse di particolare importanza l’entità religiosa a
Barletta: la città delle cento chiese; con decine di conventi e sede dei
principali ordini religiosi e cavallereschi; dove risiedevano e amministravano
ben due vescovi e due arcivescovi: quello di Canne, qui trasferitosi nel 1318,
dopo la decadenza di quella città, l’Arcivescovo di Nazareth, dimorante dal
1327, in seguito alla conquista saracena della Galilea; l’arcivescovo di Coron
e altro vescovo greco, stabilitisi qui, nella loro comunità, dopo la metà del
1500, per gli eventi bellici della loro terra.
Il porto barlettano primeggiava come scalo di
pellegrini e crociati in partenza e in arrivo dalla Terrasanta.
Qui sorge la chiesa del Santo Sepolcro, che dipendeva
direttamente da Gerusalemme, e che possiede prestigiosi cimeli di quella terra,
tra cui la cosiddetta “croce binata”, contenente alcuni pezzi della vera Croce.
E ancora: nella chiesa di San Giacomo Maggiore e in quella di San Gaetano si
conservano alcune reliquie delle Sacre Spine della Corona: vivamente venerate,
così come quelle del Santo Legno.
A Barletta riposano le sacre spoglie del suo amato
patrono San Ruggero: Vescovo dell’antica Canne.
In questa città la sera del 13 febbraio 1503 si snodò
dalla Cattedrale di Santa Maria Maggiore la processione del Clero, con il
quadro dell’Assunta, per onorare i Tredici Cavalieri che tornavano vincitori
dalla famosa “Disfida”, e che resero vivo ringraziamento della vittoria
riportata nella chiesa di Santa Maria Maddalena: l’attuale chiesa di San
Domenico.
Barletta, infine, è la città dove tra le tante
manifestazioni religiose, il Venerdì Santo di Pasqua si svolgono due solenni
processioni: una pomeridiana e l’altra serale. Aspetti ecclesiali così copiosi
e rilevanti, avvalorati dalla loro unicità, non potevano non produrre nei
barlettani fervori di fede e vocazionali e incidere all’elevazione di parecchi
religiosi alla dignità episcopale: cosa che la storia registra sino ai nostri
giorni con la prestigiosa investitura alla porpora cardinalizia di Mons.
Francesco Monterisi, primo Cardinale barlettano, che ben prospetta questa
ricerca avvalorata dal supporto del simbolismo araldico.
Partendo dunque dalla presentazione araldica - in
questo caso prelatizia - gli autori Francesco Pinto e Antonio Vitrani, dopo
aver pubblicato “Barletta, stemmi di
famiglie nobili” nel 2001 e “Barletta
Città Regia” nel 2003, con relative schede storiche, ci offrono ora questo
terzo lavoro “ Vescovi e Arcivescovi
Barlettani”, in sintonia con i precedenti, scoprendoci un altro egregio
pezzo di storia locale che travalica quest’area, seguendo appunto le “mitrate
figure” di nostri eletti concittadini.
Questa ricerca viene quindi a dar più luce a religiosi
barlettani assurti a vescovo nel corso di sette secoli, consentendoci una più
fonda conoscenza della lor fede e della lor vita, in rapporto al proprio tempo
e alla propria personalità.
Ancora una volta a dare un valido contributo è il
diletto, la passione e l’amore per la propria terra, che scorrendo come pura
sorgente nell’animo e nella mente, spingono quell’impulso di forte volontà che,
pur senza volerlo, porta a competere con “i più addetti ai lavori”, pervenendo
a lodevoli risultati, come bene attestano queste pagine. (Franco Lamonaca,
giornalista).
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:45 | |
27 novembre 2010
Insegne prelatizie
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:44 | |
27 novembre 2010
Araldica episcopale
Agli albori del terzo millennio parlare di araldica,
scienza ausiliaria della storia che rievoca gesta cavalleresche e favole
medievali, può sembrare alquanto retorico e fuori moda ma è proprio la
testimonianza di questi stemmi, per la maggior parte armi gentilizie, che ci
permette, pure dopo secoli, di mantenere viva ed onorata la memoria di taluni
personaggi.
La simbologia dell’araldica trae le sue più antiche
origini proprio dal cristianesimo e da essa la Chiesa ha attinto sempre con
particolare attenzione rinsaldando quella tradizione plurisecolare di diritto e
di fede.
L’araldica ecclesiastica è ancora oggi viva, attuale e
largamente usata; naturalmente, è meglio specificarlo, gli stemmi ecclesiastici
non devono essere ritenuti simboli di vanagloria né tantomeno paragonati ad una
sorta di simbolismo commerciale: la necessità dell’adozione degli stemmi da
parte dei prelati trova la sua fonte nel diritto canonico che ne regola
l’utilizzo e costituisce funzione di carattere certificativo. Inoltre, la
purezza del simbolismo religioso riflette la personalità e la devozione del
singolo ecclesiastico che ha speso la propria esistenza, con vocazione di
santità, verso Santa Madre Chiesa.
L’origine e l’uso dei cappelli di verde, per i
vescovi, arcivescovi e patriarchi, si vuole derivato dalla Spagna dove, nel
Medioevo, i presuli usavano un cappello prelatizio di colore verde. Il cappello
di rosso, invece, venne concesso ai cardinali nel 1245 da Papa Innocenzo IV,
nel corso del Concilio di Lione, quale distintivo d’onore e di riconoscimento
dagli altri prelati; il colore rosso fu scelto per esortarli ad essere sempre
pronti per spargere il proprio sangue in difesa della libertà della Chiesa e
del popolo cristiano.
Con L’istruzione
sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati
inferiori del 31 marzo
1969, firmato dall’Em. mo signor cardinale Segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita
testualmente:
Ai cardinali e ai vescovi è
permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere
conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice
e chiaro.
Nei successivi articoli, per quanto concerne le
dignità ecclesiali che interessano questa ricerca, si precisa:
Gli eccellentissimi e
reverendissimi vescovi timbrano lo scudo accollato ad una croce astile semplice
d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, i cordoni e le nappe di
verde. I fiocchi, in numero di dodici, sono disposti sei per parte, in tre
ordini di 1, 2, 3.
Gli eccellentissimi e
reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo accollato ad una croce astile
patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, i cordoni e le
nappe di verde. I fiocchi, in numero di venti, sono disposti dieci per parte,
in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.
Il colore di verde,
riguardante appunto i vescovi e gli arcivescovi, va usato altresì
nell’inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest’ultimi
con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti.
Per concludere si può affermare che quei simboli,
diventati poi figure araldiche, hanno offerto alla Chiesa i temi più svariati
per indicare la missione pastorale del clero e per richiamare antiche
tradizioni di culto, memorie di santi patroni e pie devozioni locali.
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:43 | |
27 novembre 2010
Mons. Tancredi Sansone
Discendente da un’antica famiglia nobile di origine
lombarda, Sansone
Tancredi fu vescovo di Bitonto dal 1299 al
1317; questo è quanto affermato sul manoscritto di Francesco Paolo de Leon,
risalente al 1769, nell’appendice dedicata agli uomini illustri di Barletta. Lo
storico indica in parentesi: ex
regesto 1298, litt. D. fol.39. Questa
notizia non è però confermata dalla cronotassi dei vescovi della Diocesi di
Bitonto.
Dalle nostre ricerche sembra che Sansone Tancredi
sostituì temporaneamente il vescovo di Bitonto, Leucio, che si era recato a
Roma per un incarico ricevuto dalla Santa Sede.
| inviato da araldicailritorno il 27/11/2010 alle 21:42 | |
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